Indice
In questa guida spieghiamo quali sono attrezzatura e materiali necessari per iniziare a dipingere con la tecnica dell’acquerello.
Nello schema riprodotto qui sopra essi sono contrassegnati con un numero, riportato nell’elenco che segue.
1 matite grasse
2 matite colorate solubili con acqua
3 matite
4 penna con pennino
5 pennarelli con punta di feltro piatta
6 altro tipo di pennarelli con punta di feltro piatta
7 temperamatite
8 gomme
9 pennarello con punta di plastica grossa
10 colla vinilica
11 pennarelli colorati con punta di plastica sottile
12 acquarelli in tavolette o godets
13 tavolozza in ceramica
14 vaschette in ceramica
15 riga
16 acquarelli in pastiglie
17 acquarelli in tubetti
18 pennelli tondi e piatti
19 puntine per fermare i fogli
20 recipiente grande per acqua
21 inchiostro di china
22 pastelli a cera
23 altro tipo di pastelli a cera
24 pastelli a olio
25 carboncini pressati
26 crete
Il necessario e l’utile
In un’età in cui il marketing pretende di governare i desideri, una opulenta vetrina, può essere stimolante. O anche intimidire. Occorre invece dire subito che le cose fondamentali e indispensabili sono ben poche: colori e pennelli, carta, acqua. L’acquarello è una forma di pittura: il tipo di materiali coloranti è specifico per le caratteristiche della preparazione, come si vedrà; i pennelli sono, per chi dipinge, il prolungamento della mano; la carta è il supporto tipico per questo genere artistico. Con l’acqua si entra nel carattere intrinseco della tecnica: i pigmenti coloranti si mescolano, si diluiscono, si allungano con l’acqua. Un buon acquarello è come un fiore rorido di rugiada; l’acqua è nel nome – e gli inglesi, che di questa tecnica in un certo momento furono maestri, dicono water-colour painting – e se nell’uso la dizione “acquarello” ha preso il sopravvento sul piú ricercato “acquerello” è forse per rendere ancor piú esplicito il naturale legame con l’acqua.
Altre cose, ovviamente, sono utili: la matita, per riassumere sulla carta la propria intuizione prima di por mano al colore, tavolozza, recipienti per l’acqua, cavalletto, gomme, righe e squadre, qualche pratico ritrovato che si finisce per aver caro. Inchiostri, pastelli, carboncini, pennarelli e crete valgono infine per le “tecniche miste”, quelle in cui i risultati dell’acquerello vengono modificati, sottolineati o arricchiti di speciali effetti.
La carta
La granulosità della carta – quel senso di ruvido che offre al tatto – trattiene il colore che vi si deposita; diventa cosi possibile sovrapporre colore a colore, senza che le successive pennellate aggrediscano i risultati delle precedenti. La grana è quindi la prima caratteristica della carta alla quale si presterà attenzione. Il diverso grado di granulosità della carta consente effetti differenti; alla pagina 16 se ne vedono alcuni esempi. La carta a grana fine consente finiture minuziose e precise; quella a grana grossa permette velature con passaggi di colore piú corposi, senza fratture fra un colore e l’altro.
La carta deve anche .essere abbastanza spessa per non deformarsi quando è bagnata. Secondo la sua consistenza ci si può lavorar sopra piú o meno a lungo senza che nascano gli sgradevoli effetti di ondulazione.
La carta da acquarello è fatta di pasta di stracci di lino mescolata a colla. La fabbricazione, che è sempre accurata, avviene depositando uno strato dell’impasto su una rete a trama molto fitta per lo scolamento dell’acqua e del materiale in eccesso. L’assorbimento del colore è in relazione al dosaggio della colla: se la colla è scarsa il colore si spande troppo in fretta, se la colla è troppo abbondante il colore rende poco; è come se lo si stendesse su una superficie di plastica. Bisogna sperimentare con le varie carte, per capirne le caratteristiche e quindi poter scegliere con sicurezza in rapporto ai risultàti che si desiderano ottenere.
Il nostro consiglio orientativo è per la carta Torchon a grana grossa, o per la Canson a grana piú fine. Quest’ultima è liscia e patinata ma non respinge i colori ad acquerello. Entrambi i tipi si trovano già montati su cartone, con incollaggi speciali e in formati diversi: 35 x 50, 50 x 70, 70 x 100. Si trovano anche in album con i fogli incollati gli uni agli altri per i bordi, cosí che non si abbiano deformazioni per l’umidità quando si stendono i colori.
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I colori
Sono composti da pigmenti vegetali o minerali, agglutinati con gomma arabica o resina d’acacia (resina del Senegal), che serve, insieme all’acqua, come legante e deve essere dosata in modo che il colore, asciugando, non si polverizzi. Altri elementi, come miele
e glicerina, possono essere aggiunti per rendere piú stabile e duttile il composto, oppure destrina per fissare i colori quando si devono sovrapporre diverse pennellate senza asportare le precedenti. Per ritardare l’essiccazione
e avere la possibilità di campire vaste superfici, sì può aggiungere al colore cloruro di calcio o ancora glicerina. Esistono ottimi prodotti di composizione ben calcolata per malleabilità, resa ed essiccazione.
I colori di buona qualità devono risultare prima di tutto stabili alla luce che tende a “bruciare” questi composti di terre, ocre, cobalti, cadmi, ossidi di ferro e cromo. I colori, come si vede nella fotografia di pagina 18 si trovano in tubetti, in pastiglie o compresse
e in tavolette, chiamate anche go-dets, sistemate in appositi recipienti di metallo. Le marche sono molte e la scelta dipende dall’esperienza di ciascuno.
Le ocre e le terre sono generalmente buone anche se a prezzi relativamente modesti, mentre i colori importanti come blu, carminio e lacca di garanza è meglio sceglierli di ottima qualità senza badare al costo. Questo vale anche per violetti e verdi, la cui resa è variabile e dipende proprio dalla qualità dei materiali. I colori in tubetto devono essere sempre chiusi dopo l’utilizzazione, perché hanno la tendenza a essiccare. Pastiglie e tavolette per la loro presentazione permettono una visione simultanea della gamma a disposizione. L’unico difetto dei colori in pastiglie e in tavolette, almeno in certi casi, sta nella loro difficile solubilità.
colori piú comunemente usati sono: giallo limone, giallo oro, giallo arancio, ocre chiare e scure, terra di Siena naturale e bruciata, vermiglione, carminio chiaro e scuro, verde vescica, verde smeraldo, verde scuro, azzurro cobalto, azzurro oltremare chiaro e scuro, blu di Prussia, violetto, carminio violetto, rosso inglese e bruno.
Questi colori sono in vendita in scatole che possono servire anche come tavolozza e sono soprattutto utili per lavori in situazioni precarie; occorre stare attenti, quando si pulisce la tavolozza della scatola, a non sciogliere le pastiglie vicine. Bisogna inoltre usare sempre uno scomparto diverso per ogni colore in modo che i pigmenti non siano contaminati gli uni dagli altri, rischiando quindi di comprometterne le tinte.
Un ordine consigliabile, per la distribuzione dei colori, dalle tinte calde a quelle fredde, può essere questo: giallo limone, giallo oro, giallo arancio, ocra chiara, ocra scura, terra di Siena naturale e bruciata, bruno, vermiglione, rosso inglese, carminio chiaro e scuro, lacca di garanza, verde vescica, verde scuro, verde smeraldo, azzurro cobalto, azzurro oltremare chiaro e scuro, blu di Prussia, violetto, carminio violetto.
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La tavolozza
Questo attributo “classico”, insieme alla zimarra sporca di colore, dello stereotipo ottocentesco del pittore, per l’acquarello serve, in taluni casi, per provare i colori o gli accostamenti. Se ne trovano di simili a quelle usate per la pittura a olio, ma costituite da vari fogli di carta, che si possono staccare e buttare dopo l’uso, in modo che si ha sempre una tavolozza pulita quando ne sorga la necessità.
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I pennelli
Sono flessibili e duttili, oppure rigidi e poco manovrabili, secondo la qualità del pelo con cui son fatti. Buoni senz’altro quelli di pelo di martora; di media qualità quelli di vaio. Quelli di materiali sintetici possono, in certi casi, avere una qualità discreta.
I tipi fondamentali sono due: i pennelli piatti e i pennelli tondi, lo si vede nella foto qui sotto. Quelli piatti, nelle varie misure, piú o meno larghi, valgono a stendere grandi quantità di colore; il rendimento diventa evidente quando si vuole una superficie uniforme: essi lasciano una striscia di colore di buone dimensioni. Per sottolineare particolari, tracciandone i profili quasi a disegno, intervengono i pennelli tondi. Essi valgono sia per coprire superfici di discreta dimensione, sia per ottenere “al tratto” (vedi pagina 95) particolari effetti. Come corredo di base bastano due pennelli tondi, uno sottile e uno grosso (n. 4 e n. 10) e un terzo piatto medio (n. 6).
I pennelli si logorano, perdono di elasticità e si deformano. Se ne prolunga la durata con un’accurata pulizia: lavaggio in acqua, anche con sapone, prolungato risciacquo. Si asciugano premendoli su un cencio pulito, facendoli scorrere piú volte, in modo da riportare la punta nella sua forma iniziale. Si ripongono asciutti sempre con la punta in alto. Quando si usano con le chine, che corrodono il pelo, la pulizia è, se si può dire, ancor piú necessaria.
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Il cavalletto e Io sgabello
Il cavalletto è indubbiamente un attrezzo di grande fascino professionale. In realtà si usa soprattutto quando si dipinge all’aperto. Peso, ingombro, praticità sono le incognite di un’equazione che va risolta a livello esclusivamente personale. Va ricordato che in certi casi anche la cartella rigida che contiene i fogli di carta, se ben sistemata, può servire da piano su cui dipingere. Alla fine quello che è importante in un cavalletto è che vi si possa ben fissare il foglio, nella posizione che si desidera e a un’altezza ragionevole per cui si possa operare in condizioni confortevoli.
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Dello sgabello si deve prendere in considerazione soprattutto l’altezza: le gambe devono stare in una posizione comoda. Sulla questione della posizione di lavoro e di tutto quanto vi è connesso e importante, vi ritorneremo.
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Matita e dintorni
Con il tempo ci si renderà sempre piú chiaramente conto di quanto la matita sia un insostituibile strumento. Indispensabile per accennare, distribuire le masse, chiarire le intenzioni, passare dall’occhio al foglio, vale anche a definire e accentuare i particolari. Si sa che con la matita, variando la pressione o l’inclinazione della punta, si ottengono effetti diversi, segni piú o meno secchi o morbidi. La carta da acquarello che è ruvida, contribuisce a dare al segno un risultato di sgranatura. La matita può essere usata anche dopo aver steso i colori, per accentuare taluni effetti chiaroscurali o grafici.
È noto che le matite sono contrassegnate da un numero e da una sigla alfabetica. Piú alto è il numero piú sono accentuate le caratteristiche implicite nella sigla. Le H sono dure, le B morbide, le HB riuniscono le due caratteristiche e sono utili per un disegno secco e preciso. Le matite della serie B sono adatte a chi è dotato di “mano leggera”; chi invece ha mano pesante sceglierà nella serie H, che però incide un po’ la carta. Comunque le matite dure servono per contorni e segni al tratto, quelle morbide per sfumature e ombre.
Si sa che le punte delle matite si consumano. I temperamatite meccanici sono pratici per le matite di una certa durezza; per quelle morbide, la cui grafite si spezza facilmente, è meglio usare un temperino a mano ben affilato o una lametta. Su un pezzetto di carta vetrata a grana fine si assottigliano o si smussano le punte. Anche in queste operazioni, semplici ma delicate, i buoni risultati si ottengono soltanto con l’esercizio.
I segni delle matite della serie H si cancellano con gomme dure o di plastica; quelli della serie B con gomme morbide. Le “gomme pane”, moderno sostituto della mollica di pane, premute sul foglio, tolgono ombre e sbavature senza lasciare macchie. Sono molto utili con i carboncini e i pastelli cretosi, di cui si dirà.
Squadre e righe si sa a che servono. Si avrà sottomano una squadra a 30°-60° oppure 45°45° e una riga di sessanta centimetri, preferibilmente di plastica trasparente. Righe e squadre si usano anche con il pennello, per ottenere strisce regolari di colore. Risulta essere importante che la riga sia tenuta sollevata dalla carta, anche rialzandola con due spessori, perché il pennello, appoggiato con la sua parte metallica alla riga, possa scorrere in modo uniforme e perché non si finisca per spandere il colore nel sollevare la riga dal foglio. Accorgimenti analoghi vanno usati anche quando si impiegano gli inchiostri di china o i pennarelli, per ottenere gli effetti di tecnica mista di cui si tratta brevemente poco piú oltre. In questo caso è sufficiente usare la riga o la squadra con il lato millimetrato capovolto verso il foglio, in modo che il “filo” rimanga sollevato quel tanto che basta dalla carta.
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I mezzi per le tecniche miste
L’inchiostro piú usato è quello di china, che dà un segno pieno e brillante e si può diluire con acqua. Non si possono cancellare gli eventuali errori, salvo con la lametta, usata con mano leggera e tenuta completamente verticale, ma che purtroppo intacca un po’ anche la carta.
Esiste in nero e in varie gradazioni di colore fra loro mescola-bili o combinabili per velature sovrapposte. Dà la possibilità di ottenere sfumature, anche se limitate a macchie, perché impregna facilmente la carta, ma bisogna sapere in precedenza l’effetto che si vuole raggiungere, non essendo cancellabile.
I flaconcini vanno richiusi dopo l’uso perché la china, asciugando velocemente, diventa densa e non consente piú fluidità di segno. Non intingere mai nella china il pennino o il pennello sporco di un altro colore.
Con penna e pennino si ottengono ottimi risultati negli schizzi, nei casi in cui si vogliono raggiungere effetti simili all’incisione a punta secca, o quando si voglia sottolineare particolari. I pennini di metallo, di tipi diversi e forme disparate, sono piú o meno flessibili. I pennini dí grandi dimensioni e robusti danno tratti calligraficamente piú larghi, mentre quelli rigidi e piccoli danno tratti sottili e secchi, come si vede nella fotografia.
Per le tecniche miste possono essere utilizzati i rapidograf, che hanno la particolarità del tratto uniforme e insensibile alla pressione della mano.
Intingendo i pennini negli inchiostri normali o nelle chine si abbia l’accortezza di non riempirli troppo: si rischia di iniziare il tratto con una macchia. Con i pennini si utilizzi carta o cartone lisci: la minima asperità fa saltare la punta del pennino producendo tratti difettosi.
Risultati interessanti si possono ottenere con penna e inchiostro su carta bagnata: il tratto si spande creando effetti gradevoli.
Esistono tipi di penne che non sono in commercio: la penna d’oca tagliata in diagonale e incisa con un taglio centrale dà una penna che produce un tratto variabile per l’elasticità del materiale; si possono costruire penne con cannucce tagliate a metà e incise all’estremità; per ottenere effetti a forte contrasto con tratti larghi e uniformi, si possono utilizzare, in certi casi, gli zolfanelli. Con fantasia ci si può valere anche di tamponi di garza, di rami secchi e di altro.
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L’acquarello può essere abbinato all’uso dei pennarelli. Utilizzano come solvente acqua, sostanze oleose, alcool. Il solvente serve a tenere umido e uniforme il colore contenuto nella cannuccia dietro il feltro e condiziona la durata delle prestazioni: i pennarelli che hanno come solvente l’acqua o sostanze oleose durano di piú di quelli ad alcool. Possono avere la punta di materiale plastico (e sono allora piú rigidi) oppure di feltro (sono piú duttili e malleabili ma anche molto piú facili a rovinarsi).
Pennarelli con punta sottile e a sezione circolare danno un tratto leggero e uniforme; quelli con punta rettangolare e tagliata obliquamente consentono un tratto notevolmente variato e quindi di ottenere superfici piú vaste di colore uniforme.
Abbinati all’acquarello i pennarelli devono sempre essere usati dopo i colori e quando questi sono asciutti, perché hanno la tendenza a sciogliersi con l’acqua e possono perciò sporcare.
Le matite, in certi casi, possono essere sostituite dai carboncini, che hanno tratto morbido e si sfumano con le mani, gli stracci o la gomma pane. Usando i carboncini bisogna tenere inclinato il foglio in modo che la polvere che si forma scivoli via lasciando pulito il disegno.
Esistono diverse varietà di carboncini: è necessario provarli al momento dell’acquisto, perché i risultati dipendono moltissimo dalla qualità e quindi dalla scelta. Con il carbone pressato si possono avere segni intensi, neri molto scuri o, piú propriamente, toni di grigio intenso, che dà effetti di estrema morbidezza.
La lunghezza del carboncino e la posizione delle mani valgono a ottenere effetti piú o meno leggeri: una stecca lunga darà un tratto sottile e leggero; una stecca corta un tratto largo e deciso e potrà essere utilizzata anche di piatto con effetti vivaci e freschi.
I risultati migliori si ottengono su carta ruvida perché si ha un tratto con leggere discontinuità e, quello che piú conta, la carta si “stanca” meno anche quando viene lavorata a piú riprese. Sulla carta liscia invece bisogna operare con pochi interventi correttivi perché la carta si sciupa abbastanza velocemente.
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A lavoro ultimato, il tratto a carboncino deve sempre essere fissato con resine che formino una pellicola protettiva. Dopo di che il lavoro può anche essere continuato sovrapponendo altri materiali, come crete e pastelli.
Il carboncino può essere usato anche con acqua e pennelli e quindi con i colori ad acquarello (vedi pagina di fronte in basso), creando piccole macchie che valorizzano i tratti secchi e vicini.
L’acquarello può anche essere completato oppure preceduto con pastelli. Formati di sostanze colorate con l’aggiunta di olio o cera, a seconda della composizione danno risultati diversi. I pastelli a base cretosa sono molto magri e friabili; possono essere utilizzati anche con l’acqua, e danno effetti luminosi e vivaci. I pastelli a olio, piú o meno grassi e piuttosto gessosi, sono interessanti perché possono dare effetti morbidi e consentono inoltre tinte sovrapposte, ottenute con diversi strati. E consigliabile iniziare il lavoro con i toni chiari e passare poi a quelli piú scuri.
I pastelli a cera hanno colori piú brillanti; sono utilizzabili anche su superfici molto lucide e danno risultati coprenti, anche se scarsamente differenziati; su queste superfici si possono eseguire disegni, graffiando il colore con sgarzini o punte di metallo.
Quando si vogliono lasciare zone prive di colore, i pastelli devono essere usati prima dei colori ad acquarello.
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Le crete esistono praticamente in tutte le tinte della gamma cromatica; generalmente a sezione quadrata, sono utilizzabili sia di spigolo, sia di piatto; sono facilmente mescolabili tra di loro e coprenti; sono pure facilmente solubili in acqua e danno superfici liquide; in certi casi possono essere usate su carta umida con effetti di intenso cromatismo.
A lavoro ultimato, le crete devono essere fissate con le lacche o fissativi perché la loro polvere si stacca facilmente dalla carta.
Quando si vogliono ottenere effetti vaporosi o di colore nebulizzato che diano riflessi o chiaroscuri piú o meno perfetti, oppure particolari effetti, come nebbie o nevicate, è possibile utilizzare, nei casi piú semplici, una cannuccia. Piegata a squadra e inserita in un bicchiere, consente di soffiare il colore sciolto nell’acqua quasi vaporizzandolo.
Nell’aerografo vero e proprio, con motorino elettrico e pedale, si trasmettono, con la pressione del piede, impulsi che danno un getto di colore uniforme e regolare. Buoni e veloci risultati si hanno anche con bombole spray contenenti ognuna un colore solo, a base acrilica: vanno usate con corretto orientamento e alla distanza di circa trenta centimetri.
Il fissativo
L’acquarello è sempre delicato. Il sole, o la luce troppo intensa, asciuga il colore che tende a polverizzarsi e a cadere. L’umidità può far ammuffire la carta o la gomma arabica contenuta nei colori. Il fissativo — il mercato offre diverse marche — stende un film protettivo sui colori e ha un effetto singolare. In un primo momento i colori acquistano in lucentezza e in intensità; anche certi colori di qualità scadente, che tendono a diventare opachi asciugando, ne risultano avvantaggiati. Col tempo tuttavia l’opera nel complesso tende a ingiallire: lo strato impermeabilizzante del fissativo conserva, ma a prezzo di trasparenza e di alterazioni dei pigmenti.
Prima di dare il fissativo, se lo si vuole usare, si appone la firma. E il momento è sempre gratificante. È una consuetudine dell’ambiente artistico, che è diventata quasi una ferrea regola, firmare non altrimenti che a matita.
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La posizione e il luogo di lavoro
Un detto dice che si balla con la testa non con i piedi. Il che può parafrasarsi per ogni attività artistica: il lato fisico, manuale dell’attività deve trovare tutto predisposto, comodo, ordinato e ben a portata, si che tutto quello che è mentale avvenga per ben rodati automatismi, senza rompere quella che nel linguaggio dei cronisti sportivi viene chiamata “concentrazione”. Il giusto pennello che non si trova, lo straccio che finisce sopra i colori, il recipiente dell’acqua in bilico che vien rovesciato al primo movimento del gomito sono come se il concertista dovesse fermarsi a metà della frase musicale per raccattare il leggio o sistemare il sedile. Bisogna riuscire a mettersi nelle condizioni di lavorare quasi dimenticando attrezzi e materiali. E anche il proprio corpo. II sedile sia comodo, ma rigido, perché si possa sempre osservare l’oggetto da dipingere dalla medesima distanza e sotto lo stesso angolo. Il tavolo che sostiene il foglio sia leggermente inclinato — una trentina di gradi —perché i colori che si stendono scorrano in modo controllabile. Quanto serve (recipienti per l’acqua, stracci, di cotone e non di fibra sintetica, scatola dei colori, piatti bianchi per mescolare i colori, carta assorbente per asciugare l’eccesso di colore e di acqua) sia disposto su un ripiano, alla destra – ovviamente questa come ogni altra indicazione di destra e sinistra va rovesciata se chi dipinge è mancino – all’altezza del ginocchio e raggiungibile dalla mano senza muovere troppo il corpo.
La luce – qui si sta dicendo del lavorare in interno – se naturale deve essere frontale o laterale-frontale rispetto al soggetto da dipingere; il foglio deve ricevere luce da sinistra perché la mano che dipinge non crei ombre. Sempre la luce deve essere chiara, ma non violenta. Se è artificiale provenga da tre fonti: una generale al centro del locale; le altre due di uguale intensità, una sopra il tavolo di lavoro e una sopra il soggetto da dipingere, entrambe a braccio estensibile e con paralume. La posizione sia leggermente obliqua rispetto all’oggetto per avere una visione simultanea e continuamente verificabile. La distanza di almeno due metri: si deve vedere l’insieme e anche con precisione i particolari. Tutto questo è schematizzato nei disegni.
In plein air, all’aperto, valgono le stesse regole in quanto applicabili. Ci si ponga comunque in una zona d’ombra, perché la luce diretta troppo vivace stanca la vista e favorisce un’esecuzione a contrasti di colore troppo forti.
La pertinenza di queste regole può essere mentalmente verificata pensando agli inconvenienti che sorgono dal loro mancato rispetto: la mancanza dei recipienti dell’acqua a portata di mano
induce a lavorare con pennelli non sempre ben puliti, compromettendo la freschezza e la limpidezza dei toni; sedili troppo comodi favoriscono spostamenti del corpo e quindi alterazioni della distanza e dell’angolo con cui si vede l’oggetto; la luce mal distribuita non solo produce ombre, ma falsa anche i colori; una distanza sbagliata dall’oggetto da dipingere o impedisce l’analisi dei particolari o induce, al contrario, a una non buona valutazione dell’insieme.