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Una comprensibile descrizione della luce la dobbiamo alla fisica e la studiamo sui banchi di scuola: un miscuglio di lunghezze d’onda. Ogni singola lunghezza d’onda (o da un altro punto di vista, ogni singola frequenza: a velocità di propagazione fissa e costante – e come si sa, quella della luce è di trecentomila chilometri al secondo – la lunghezza dell’onda, ovvero la distanza tra due “creste”, e la frequenza. ovvero il numero di creste che “passano” in una unità di tempo, sono rigorosamente correlate; l’una o l’altra di queste grandezze costituiscono un “certificato di identità”) ha un determinato colore; la frequenza è una sorta di numero di catalogo della tinta, come per un produttore di vernici. Nella “banda di emissione”, l’occhio umano è sensibile solo a una ristretta fascia. Prima del rosso al di là del violetto esistono colori che non vediamo? Tutto sta a intendersi: emissioni si (infrarosso, ultravioletto); colori come si può dirlo? I colori sono tali in quanto li vediamo. Ci siamo accordati sui loro nomi, niente piú che etichette, ma si provi a “raccontare” un colore, in quanto tale, non come fenomeno fisico, prescindendo dalla sua etichetta. Il miscuglio delle frequenze è la luce bianca, quasi una sorta di azzeramento reciproco dei colori. Tuttavia da qui nasce il singolarissimo rapporto tra colore e luce, che affascina i pittori.
Vi sono vari esperimenti di fisica in proposito. Per esempio, tre fasci di luce, azzurro intenso, rosso e verde, fatti passare da filtri dello stesso colore, incrociandosi restituiscono la luce bianca (vedi illustrazione 1). Sempre in termini di fisica, se si passa al colore degli oggetti, questo è conseguenza di quante e quali frequenze esso assorbe e riflette. Un oggetto è bianco quando le riflette tutte (3); è rosso quando riflette le frequenze rosse e assorbe quelle verdi e azzurre (4), è nero quando le assorbe tutte (5).
La fisica è una compagna scomoda per la pittura. Abbiamo visto che luce azzurra + luce rossa + luce verde fanno la luce bianca: azzurro, rosso, verde si possono dire colori primari. Questi colori primari — ma sarebbe meglio dire luci colorate — mescolati a due a due danno i colori secondari: luce rossa + luce verde = luce gialla; luce rossa + luce azzurra = luce porpora; luce azzurra + luce verde = luce azzurra cyan o blu di Prussia chiaro. Ogni secondario è complementare del primario che non vi è contenuto e con il quale ricompone il bianco.
Interessante, ma piú o meno da dimenticare. Quando si lavora non con fasci luminosi ma con pigmenti colorati — ossia quando si passa alla pittura — le cose cambiano. In fisica da luci “scure” si arriva alla luce bianca; in pittura da pigmenti chiari si arriva a colori scuri (2). Rosso piú verde in fisica, in termini di luci, danno giallo (6); in pittura mescolando pigmenti rossi e verdi si ha un marrone (7).
In pittura i colori primari risultano essere il giallo, il blu di Prussia chiaro e il porpora. Bisogna ricordare che il blu di Prussia chiaro, nella prassi della fotografia a colori e nell’arte della stampa. viene chiamato azzurro cyan o semplicemente cyan; e che il porpora è in realtà un rosso ciclamino: è utile aver ben presenti queste equivalenze terminologiche. Mescolando a due a due i colori primari si ottengono i tre colori secondari: rosso, verde e violetto. Tutte le altre sfumature cromatiche intermedie, sono conosciute come colori terziari.
Si è accennato piú sopra, parlando di fisica e di luci, alla “complementarità” dei colori. E una proprietà molto importante per la pittura: vi si creano contrasti di colore che servono per dipingere le ombre e i riflessi. E un argomento su cui si tornerà tra breve. Se si osserva la realtà che ci circonda è una constatazione immediata che il valore della luce varia a seconda dell’ora e di qualunque cosa sia interposta — per esempio le nubi — tra la sorgente di luce e gli oggetti. E noto, per
esempio, che all’imbrunire, man mano che la luce cala, tutto tende all’azzurro e diventerà poi nero: in assenza di luce i corpi non hanno alcuna “frequenza”, alcun colore da riflettere. L’aria è essa stessa un filtro; secca e trasparente o satura di umidità fa passare piú o meno luce: cosi gli oggetti vicini hanno colori nitidi e ben distinguibili, quelli lontani colori che tendono a fondersi e a farsi tutti azzurri.
Accostamenti timbrici e colori complementari
Ci sia consentito di introdurre una similitudine musicale. Si immagini un canto lirico, a toni alti, netti e staccati, senza legame melodico che fluidamente scorra agganciando ogni nota, cosí che ogni nota acquisti una coloritura secca e ben distinta e, fronteggiando le altre, susciti effetti sonori che si possono “sentire” come aggressivamente esuberanti. Mettere insieme dei colori con “accostamento timbrico” è qualcosa del genere.
Possiamo cercare un’altra analogia, forse piú pertinente e incisiva, pensando alla tecnica del mosaico e a certi esempi tardo-antichi o medievali, quali si possono vedere a Ravenna, a Venezia o nelle chiese bizantine della Grecia e di Costantinopoli. La forte carica emotiva che ne scaturisce è forse legata al fatto che ogni elemento — ogni tessera cromatica — squilla distinto, ma è ancorato agli altri attraverso rapporti che si potrebbero definire complementari.
Torniamo quindi alla questione della complementarità. Si è già detto che, dal punto di vista della pittura, sono pigmenti primari il porpora, il giallo e l’azzurro cyan; che i primari miscelati a due a due danno i secondari. Ciascun secondario è “complementare”, si potrebbe dire, del terzo “escluso”, ossia di quel colore primario che non è stato mescolato per formarlo. In pratica si hanno i seguenti casi: l’azzurro cyan (primario) è complementare del rosso (secondario perché formato dai primari giallo e porpora);
il porpora (primario) è complementare del verde (secondario perché composto dai primari giallo e azzurro cyan); il giallo (primario) è complementare del blu (secondario perché composto dai primari azzurro cyan e porpora). Questi discorsi teorici sono esemplificati, con variazioni, nelle illustrazioni. Chi ci ha seguiti fino a questo punto è certamente in grado di prendere in mano carta, colori e pennello e ripetere questi esperimenti e allargarli. Quello che è importante – si consenta il consiglio – è di riflettere a quel che si vien facendo e di osservare attentamente il risultato: si comincerà ad acquisire quel bagaglio di esperienza, quella familiarità con il mondo del colore che porterà pian piano alle gratificazioni che ognuno si attende intrapprendendo la strada dell’acquarello. Intanto si può fare un passo avanti prendendo in esame tre esempi di acquarello, molto diversi l’uno dall’altro, che hanno in comune rapporti complementari di
pigmenti cromatici. L’esame che il lettore ne farà sarà principalmente “tecnico” – l’analisi delle soluzioni adottate arricchisce l’occhio – ma non solo tale. L’uso di certi rapporti cromatici si traduce in funzionalità espressiva e induce reazioni psicologiche. Si entra cosí nella sfera interpretativo-espressiva, dove il terreno è misterioso, incerto (per l’imprevedibilità delle componenti personali), magari anche malfido, ma ricco di suggestioni.
L’Orfeo ed Euridice (1) vede la figura maschile “giocata” a toni di luce gialli e rossi a confronto con quella femminile in cui figurano toni azzurri. E un tentativo di interpretare la distanza, l’inafferabilità, la contrapposizione di vita e morte che costituiscono il centro di risonanza simbolica del noto mito greco. Vi contribuisce anche lo sfondo, di luce e ombra, con blu di Prussia, smeraldo e violetto.
I rapporti timbrici sono quasi orgiastici nel vaso di anemoni (2). I rossi, i ciclamini e i violetti sono fra loro in netto contrasto (il rosso composto di giallo e ciclamino è complementare dell’azzurro; il ciclamino è complementare del verde); i due ranuncoli gialli accentuano ancora di piú il carattere timbrico dell’acquarello, poiché sono in netto contrasto con i colori degli anemoni.
Nella conchiglia (3), infine, il rapporto timbrico è sommesso, appena accennato; trascorrendo velocemente dai toni giallo-arancio a quelli violetto-verde si viene infatti a costituire il volume.
Colori caldi
Avendo presente la gamma cromatica di cui si è prima discorso, sono da considerare colori “caldi” quelli compresi tra il giallo e il violetto o, piú analiticamente, tra il limite del giallo-verde e quello con l’azzurro cyan o blu di Prussia. Mescolati fra loro, questi colori danno un’intonazione morbida e calda, cromaticamente tendente al rosso. Trascurando molte sfumature intermedie, sono dunque caldi: verde-giallo, giallo ocra gialla, rosso, ciclamino, violetto (1). Si possono aggiungere delle varianti (2) che mescolate fra loro danno dei colori composti con sfumature piú complesse.
Se si osserva un esempio concreto (3) si vedrà che, partendo dal giallo e mescolando pochi colori della gamma dei rossi e al limite dei verdi, si possono ottenere sfumature ricche e diverse. Non si deve interpretare quanto si è venuti dicendo ed esemplificando nel senso che una composizione di tono “caldo” debba completamente eliminare l’azzurro e tutti i suoi derivati. É una questione di prevalenza. E in realtà in una composizione prevalentemente “appoggiata” sui rossi e sui gialli, ossia in una composizione calda, la presenza del blu o del verde smeraldo può essere funzionale.
Colori freddi
Vengono definiti colori “freddi” quelli oltre la fascia della gamma dei gialli, dal verde sino al violetto. I principali colori di questo gruppo di pigmenti sono quindi: verde chiaro, verde brillante, verde smeraldo, cobalto, violetto, ciclamino-violetto (1).
Si può semplificare ulteriormente la tavolozza di base per le composizioni a toni freddi, limitandosi al verde chiaro, al verde smeraldo e al ciclamino (2).
L’ultimo colore (ciclamino) è molto importante per formare il violetto. li blu cobalto mescolato al verde chiaro dà il celeste turchese; il blu cobalto mescolato al verde smeraldo dà una tinta simile al blu di Prussia.
Tutti questi colori sono stati dati a pennellate semplici, in modo da far constatare gli effetti della loro contiguità o sovrapposizione, che è la base piú semplice per realizzare composizioni utilizzando colori freddi.
Si dedichi ora una certa attenzione agii esempi proposti. I fiori stilizzati nel vaso di gusto liberty (3) sono stati eseguiti valendosi di verde, violetto, cobalto e ciclamino. La trasparenza acqua-vetro viene suggerita lasciando libero il bianco della carta: un accorgimento fondamentale questo su cui si tornerà piú avanti.
Quanto si è detto e mostrato in questo e nel precedente paragrafo a null’altro ambisce che a stimolare a impadronirsi della gamma dei valori cromatici, a sondarne le virtualità espressive: a un certo punto nel confronto con i dati della tecnica verranno evidenti le inclinazioni personali.
Colori tonali
Le composizioni con colori tonali, diversamente da quelle a colori timbrici (che si reggono essenzialmente su forti contrasti cromatici) sfociano in una pittura serena, con andamento calmo, equilibrato e rigorosamente composto. Non si vuole certo dire con questo che la stesura si appoggi su un solo colore predominante, ma piuttosto che il tessuto pittorico è prospetticamente sorretto dal valore della luce. Risulta essere il valore della luce che fa la distanza, poiché i colori locali variano di intensità secondo la distanza.
Per contro, scelto un tono, per esempio, caldo-dorato, questo deve trovarsi in tutti i colori della composizione, sia pure con diversa intensità: le distanze o la profondità che si vogliono dare a oggetti, figure, elementi della composizione sono instaurate graduando delicatamente la luce ottenuta con il tono cromatico prescelto. La luce diventa mezzo prospettico e — semplificando al massimo il discorso — il colore di un oggetto si illumina di una luce determinata: leggermente abbassata se l’oggetto è a breve distanza, ancora piú tenue se l’oggetto è a distanza maggiore.
Venendo alla esemplificazione pragmatica, per comporre gli acquarelli pubblicati, si è impiegata una tavolozza cromatica che consta dei colori: giallo, ocra gialla, rosso inglese, bruno, verde vescica e verde chiaro, tutti colori che contengono il giallo, in questo caso, considerato come luce (1). Con questi stessi colori sono state eseguite mescolanze sempre armoniche anche a distanze diverse, perché in tutte è presente il giallo (2 e 3).
Accordi cromatici, basati sul rosso inglese, sulle terre, sul bruno e sul verde, possono risultare “favolistici”. Questi colori, contrapposti irrealisticamente con violenti contrasti luminosi, creano, come nell’ultimo esempio decorativo (6), un voluto e ricercato effetto di sospensione, quasi silente indifferenza.
Colori bassi
Tra le impostazioni cromatiche sin qui esemplificate (colori timbrici, colori caldi, colori freddi) si pone la gamma dei colori “bassi”, quei colori sotto tono, che non sono né freddi, né caldi, né si vitalizzano a contrasto, ma rappresentano un equilibrio mediano. Il loro impiego può sembrare poco fruttuoso. In realtà si possono ottenere effetti di raffinata compostezza. Non suoni audace il richiamo ai modi del grande
Giorgio Morandi e alla sua capacità di dare forza espressiva a valori apparentemente monocordi. I pigmenti, usati per dipingere “a colori bassi” gli esempi di queste pagine, vanno dal quasi giallo, al verde spento, all’ocra grigia, al rosso inglese, al grigio, al grigio-azzurrato e al viola grigio (1); sono il risultato di colori puri sempre mescolati col violetto o col verde per attenuarli (2 e 3).
Con questa limitata gamma cromatica è stato realizzato il bozzetto scenografico (4) ispirato al ballo Excelsior di Marenco-Manzotti: gli scarti di colore sono minimi e pochissimi i colori brillanti, come per esempio il ciclamino degli oleandri. Carattere opposto assume la composizione con Erinni turbinanti (5) in un’atmosfera ossessiva, ottenuta con colori sfuocati sui toni bruno e verde-giallo. Nella nevicata (6) è espressa una fradicia atmosfera di fabbriche e macchine sepolte sotto la neve; la gamma è di bruno, grigio, grigio-verde, giallo-verde e violetto-grigio.
Colori a contrasto
I contrasti, ossia la giustapposizione di certi colori, creano effetti che bisogna imparare a padroneggiare. Il caso piú semplice può essere riassunto dicendo che un colore può risultare piú scuro o piú chiaro in virtú del campo cromatico che lo circonda: un oggetto giallo in campo nero acquista vivacità (e appare compresso); lo stesso giallo, in campo bianco sembrerà dilatarsi ma apparirà meno intenso.
Interessanti effetti si ottengono accostando colori che siano in certo grado complementari: per esempio, l’arancio diventa vivacissimo se è accostato a un verde (l’arancio, colore secondario in quanto somma di giallo piú ciclamino o porpora, è complementare dell’azzurro; il verde, altro colore secondario in quanto somma di azzurro piú giallo è complementare del ciclamino).
Altro fenomeno di cui tener conto sono le alterazioni che si generano dagli accostamenti: il porpora in campo azzurro tenderà al giallo; lo stesso porpora in campo giallo tenderà all’azzurro; ossia un colore primario nel campo del secondo colore primario tenderà verso il terzo primario.
Il discorso potrebbe continuare a lungo ma rischierebbe di perdersi nell’aridità teorica, meglio prendere in esame l’esemplificazione che qui (come negli altri paragrafi di questo capitolo che tende a familiarizzare con i colori) è proposta anche come punto di partenza per l’esercizio pratico.
La tavolozza che si è costruita (1) è composta di giallo brillante, arancio, rosso, ciclamino, violetto, blu di Prussia, azzurro cobalto. Successivamente (2, 3) questi colori sono stati mescolati a due a due, componendo un insieme di colori brillanti.
Colori armonici
Un buon acquarello vive di una sintesi di intonazione cromatica. Questa è frutto di una scelta preliminare di determinati colori che danno al lavoro finito il suo carattere dominante, il filo conduttore cromatico. Si può “raccontare” l’armonia? Si può, si deve comunque cercare di raggiungerla. Armonia in questo caso non è sinonimo di noia o monotonia, di ripetizione di un solo accordo cromatico, ma nasce dalla capacità di mescolare i colori in modo da raggiungere quell’ “intonazione” generale di cui si diceva. Nella quale, in casi particolari, può trovare posto anche la dissonanza.
C’è un qualcosa che deve irradiare da qualsiasi situazione fissata nel colore con l’acquarello e che della situazione stessa coglie lo spirito. C’è un dialogo che si stabilisce fra i colori della realtà e quelli che chi dipinge sceglie poi di utilizzare. Il risultato può essere pessimisticamente considerato come un coup de dés – il che non è poi cosí vero – tuttavia deve essere inseguito con quante doti si hanno.
Torniamo alla pratica, per la quale si deve passare. Come su una tavolozza si sono sistemati i colori piú semplici che, fra loro mescolati, danno delle soluzioni che sono piú facilmente armoniche. Sono tutti colori composti, moderati nel timbro, ossia leggermente
abbassati, e risultano dalla mescolanza di giallo limone, arancione, rosso inglese, terra di Siena naturale, carminio violetto, verde smeraldo, blu oltremare, blu di Prussia (1, 2).
Ancora una volta passiamo a una sommaria analisi degli esempi. Nel giardino con balaustra barocca (3), il primo piano sui toni dei rossi, dei violetti e delle terre è ottenuto mescolando le stesse tinte servite a realizzare il verde dello sfondo e il fogliame della parte alta; la luminosità, nella situazione contro sole, è stata ottenuta con l’inserimento del giallo limone.
I colori freddi del paesaggio montano con figure (4) sono correlati alla limpidità dell’atmosfera. Squillante ma armonico, il lavoro si basa soprattutto su verdi, azzurri, terre e rossi.
I colori delle ombre
I colori – che nella luce hanno toni caldi – in ombra si trasformano in azzurro piú o meno intenso. In natura, dove l’ombra è espressa dal blu oltremare e la luce dal giallo, abbiamo da una parte (1) la gamma cromatica che va dai rossi agli arancio fino a sfumare nel giallo (luce); dall’altra (2) quella del giallo che passa al verde fino ai toni del blu oltremare (ombra).
Nell’ombra i colori vanno verso l’azzurro si è detto; il colore dell’ombra sugli oggetti è di una tonalità piú scura della parte in luce. La “ricetta” è: mescolare il colore dell’ombra con quello dell’oggetto in luce, piú il suo complementare: il risultato è l’impasto che piú si avvicina alle reali caratteristiche dell’ombra. Soprattutto, come poi si chiarirà, mai tentare di fare le ombre col nero. La piramide rosso-arancio (3) avrà, sul lato visibile non esposto alla luce, un’ombra che risulta dalla mescolanza dell’azzurro (la
oscurità), del verde (complementare del rosso), del rosso scuro (tono piú scuro del rosso arancio della faccia in luce).
Il cilindro blu (4) ha l’ombra ottenuta con la mescolanza di azzurro oltremare, di rosso (complementare del blu) e del blu di un tono piú scuro del colore in luce. Sempre secondo la stessa regola, l’ombra del limone giallo (5) risulta di giallo-arancio (tono piú scuro della parte in luce), di viola, complementare del giallo, e di azzurro oltremare (oscurità).
L’intensità dei colori
Asciugando, i colori perdono di intensità. Questo obbliga a riprenderli, rendendoli piú densi. Il processo di asciugatura cambia anche i valori: un rosso trasparente, ossia diluito, asciugando tenderà all’arancio; se denso al marrone. Per ottenere un rosso piú intenso di quello iniziale, bisogna correggere la tinta con il carminio mescolato all’arancione; cosi si avrà un rosso coprente brillante. Un colore freddo come il verde smeraldo, trasparente tenderà al verde asciugando, denso passerà al verde-celeste. Per aumentarlo di intensità si dovrà mescolarlo con una punta di giallo. Ecco come si è ottenuta l’intensità di colore desiderata nella “muleta” del torero qui accanto. Già all’inizio la tinta è stata impostata il piú vicino possibile a quanto si voleva (1). Asciugata la prima passata si è ripetuta l’operazione con il colore piú denso (2). Lasciata asciugare anche la seconda passata si è data la terza (3) e cosí via intervenendo sulla miscela secondo i criteri cui si è fatto cenno.
Quanto si è qui detto deve essere radicalmente corretto nel caso del giallo. Non si può aumentare l’intensità del giallo con successive “coperture”: piú lo si copre meno brillante diventa. Quindi bisogna trovare, di primo acchito, la tinta della gamma che dia il risultato valido, prevedendo il mutamento nell’asciugatura. Si può correggere partendo dal giallo limone verso il giallo oro, ma non al contrario.
La liquidità dei colori
La carta bagnata è fondamentale per ottenere effetti atmosferici e sfumature senza limiti precisi, quasi in dissolvenza.
Vi sono alcune regole elementari. Le zone bianche o di massima luce non vanno toccate con il colore, ma solo bagnate con acqua pulita. Dai toni chiari, trasparenti, si passi velocemente a quelli densi, ponendo i contrasti, poi si andrà ai toni intermedi. Si bagni regolarmente la carta nel procedere, in modo che i colori piú forti e le zone d’ombra risultino con i bordi dissolti nel colore precedente. La carta bagnata fa sí che il colore si diffonda senza creare aloni. Si muova il pennello con mano leggera per non asportare il risultato della passata sottostante.
Si analizzi l’esempio del paesaggio qui accanto e i particolari delle fasi successive (1, 2, 3). Bagnata la carta, si sono usati prima colori molto trasparenti, cambiando frequentemente i toni — ora caldi, ora freddi — per avere il senso della luce diffusa. Poi con colori netti, ma sempre su carta bagnata, sono state delimitate le zone dell’acqua e quelle delle colline, ritoccando con i colori diluiti la superficie del lago. Onde e canne sono state infine disegnate con pennellate rigide, per determinare la quinta di vegetazione a metà del lago e le ombre del primo piano. Qui ogni pennellata è stata “appoggiata” alla superficie liquida, per dare all’increspatura dell’acqua un aspetto quasi vellutato.
Colori a secco
L’espressione “a secco” non significa colori dati senz’acqua, ma bensí colori dati su carta asciutta. Asciutta la carta non assorbe irregolarmente il colore, ma consente effetti netti, con limiti decisi tra i singoli colori. Il procedimento può dare forte sbalzo alle forme, ma è invece sconsigliabile quando si devono ottenere atmosferiche profondità.
Nell’esempio qui sotto, la tecnica a secco è stata impiegata per rendere il guizzare della luce sulla lucida armatura. Occorre procedere per gradi, come si vede nei particolari (1, 2, 3). Si passa dai toni chiari, via via a quelli piú scuri; infatti non è possibile cancellare quel che si è fatto e l’acquarello, che non è mai coprente, lascia sempre intravedere i colori sottostanti. Si usino quindi all’inizio colori leggeri ben diluiti nell’acqua, ossia trasparenti, per passare gradualmente alle tinte piú scure, facendo sempre piú denso il colore.
Colori al tratto
Nell’acquarello si intende, con questa espressione, l’uso del pennello, generalmente di piccole dimensioni, verticale o obliquo, per segnare ombre o chiusure di particolari con segno simile al tratto di penna. Si utilizza il tratto solo dopo aver dato l’intonazione generale. Se si invertisse quest’ordine, si cancellerebbero i tratti piú sottili, rendendo illeggibili certi particolari. Il tratto spicca con l’uso di colore piuttosto denso e, generalmente, di intonazione contrastante rispetto a quella della superficie complessiva.
Si osservi la sequenza (1, 2, 3) del particolare di panneggio. Disegnato a matita lo schizzo di base, si è data l’intonazione gialla. Poi una velatura di blu oltremare. Dopo aver lasciato ben asciugare, con il pennello al tratto si sono valorizzati i punti di ombra piú intensa, con segni nervosi e veloci oppure lunghi e sottili. Leggermente dissonante e coprente, il tratto dà forza e vivacità.
Le velature
Strati leggerissimi di colore molto liquido, stesi uno sull’altro, sono l’essenza del procedimento a velature. Si ottengono effetti di trasparenza, di nebbia, di fumo… Ogni volta che si interviene con colore leggermente piú intenso (piú denso) occorre bagnare i bordi intorno alla superficie appena riempita e raschiare leggermente la tinta vicina.
L’esempio è il ben noto castello bavarese di Neuschweinstein, fatto costruire da Luigi II, di cui si è cercato di restituire la singolare atmosfera. Si è proceduto con sequenze ben precise (1, 2, 3). Prima è stata data l’intonazione generale sul verde spento, salvo certe luci livide ottenute con i violetti. A carta ancora umida, si sono macchiate certe zone del cielo con verdi sia caldi sia freddi, a strati sovrapposti, sempre grattando i bordi per creare dissolvenze cromatiche. Poi si sono delimitate le zone di nebbia intorno al castello con un controluce di rocce e vegetazione, per il quale si è capovolto il foglio (alto in basso) perché il colore si addensasse a macchia lungo i profili. Le abetaie intorno al castello sono state lentamente costruite a strati successivi, ripassando ogni volta con una velatura la costruzione, anche perché acquistasse carattere favolistico. Infine, sempre a foglio rovesciato, con colore leggermente piú denso, sono stati delimitati i profili dei tetti, le finestre e le bizzarre balconate dell’edificio.
Il frottis
Il termine è mutuato dalla pittura a olio e, nell’acquarello, è usato, impropriamente, per indicare la tecnica nella quale i colori vengono dati con pennello quasi asciutto. Nell’incorniciatura accanto, per simulare il marmo, sono stati usati vari colori, sfregando sulla carta, ora a toni mescolati, ora a toni lasciati ben differenziati. La tecnica serve per sovrapporre tonalità di colori diversi senza che si mescolino; essa “carica” di colore e non è impiegabile quando si vogliano ottenere colori chiari.
L’esecuzione deve essere programmata per sequenze ben differenziate. Si vedano i particolari (1, 2, 3). In un primo tempo, con giallo e verde smeraldo, sono state sistemate le macchie piú leggere che danno l’intonazione generale; in un secondo momento, con rosso inglese, carminio e bruno, si sono date le macchie tendenti al rosa e, sopra queste, si sono iniziate le vela ture, che, trovando in certi punti il colore sottostante ancora liquido, sono sfuocate con effetto irregolare; infine, con pennello a sezione piuttosto piccola, pieno di colore e asciugato sulla carta assorbente, sono state composte le tinte brune e verdastre delle venature. Usando colori quasi asciutti, il procedimento consente sovrapposizioni, fino a ottenere un effetto ovattato e soffice, grazie al leggero e lento spostarsi di ogni colore rispetto a quello steso in precedenza.
II nero e il bianco
Che il nero possa servire per ottenere le ombre, nell’acquarello, è piú che un’illusione: è un errore. Fisicamente il nero è assenza di luce; come pigmento mescolato agli altri vale solo a sporcarli, abbassando tutti i colori. I colori piú si usano densi, piú danno effetti di oscurità, mescolati col nero “virano” tutti verso uno stesso tono, sporco. Si vedano i due gladioli (1). Entrambi impostati sul rosa-carminio, quello in primo piano è stato lavorato addensando il colore (meno densi arancio e vermiglione), per l’altro si è impiegato il nero, ed è risultata in quest’ultimo una noiosa uniformità. Nelle foglie la base è il verde smeraldo: dove nelle loro ombre agisce il verde vescica esse sono vivaci e corpose, dove invece è stato usato il nero il colore tende verso un verde opaco.
Il nero può essere usato come colore o superficie colorata a sé stanti, ma mai mescolato ad altri colori. Peraltro si ricordi che mescolando alcuni colori si ottengono vari tipi di nero (2). Terra di Siena, blu di Prussia e carminio danno un nero caldo; blu di Prussia, verde smeraldo e carminio portano a un nero freddo; i quattro colori nominati, insieme (terra di Siena, blu di Prussia, carminio, verde smeraldo), compongono il nero neutro.
Risulta essere pure un errore credere che, nell’acquarello, utilizzando il bianco si rendano piú luminosi i colori. Non si fa altro che offuscarli con una patina grigia. L’acquarello è trasparenza e liquidità: il bianco — come pigmento — va dimenticato. Si illumina lasciando intoccata un’opportuna porzione di carta: sempre la presenza della carta che si sente sotto il colore trasparente crea sensazioni di luminosità (3). Il bianco, come il nero, non va mai usato nelle mescolanze. Gli unici casi in cui si adopera è quando, nelle tecniche miste (ottenuti effetti di corposità) un tocco di bianco, solo e staccato, crei un guizzo, uno stacco, una macchia di forte sbalzo.